Mitologia greca
Ero e Leandro



κάλλος γὰρ περίπυστον ἀμωμήτοιο γυναικὸς
ὀξύτερον μερόπεσσι πέλει πτερόεντος ὀιστοῦ
Museo Grammatico, Ero e Leandro, vv. 92-93

La struggente storia di Ero e Leandro è consegnata alla tradizione dall’omonimo epillio del poeta alessandrino Museo. La vicenda era stata trattata in precedenza dal poeta romano Ovidio, ma è con il poemetto di Museo che raggiunse la massima notorietà, tanto da suggestionare profondamente la letteratura occidentale nei secoli a venire.
Il mito di Ero e Leandro appartiene alla categoria dei miti locali o di santuario. Nacque in effetti nell’ambiente del santuario di Afrodite a Sesto, nella Tracia. Narra la storia dell’amore di due giovani.
Ero era sacerdotessa di Afrodite, e viveva nella città di Sesto, nella regione chiamata Tracia, a nord dell’Ellesponto: quello stretto che oggi chiamiamo dei Dardanelli. Il giovane Leandro abitava ad Abido, la città gemella di Sesto, a sud dell’Ellesponto.
Nella città di Sesto, presso il santuario di Afrodite, si celebrava una festa che attirava fedeli da tutto il mondo ellenico: dalle innumerevoli isole che il mare cinge, dall’intera Tessaglia e dalla Frigia, dalla lontana Cipro e da Citera, e dal remoto Libano che produce incenso, dove si danzava in onore della dea. Ovunque vi erano fedeli della dea e da ognuno di questi luoghi essi giungevano per la celebrazione.
Mentre Ero si accostava al tempio, radiosa nella sua bellezza, tanto da poter essere accostata ad Afrodite stessa, non v’era giovane che non l’ammirasse. Ognuno aveva parole di stupore per tanta bellezza. E fu allora che Eros scoccò una delle sue frecce, e implacabile trafisse due cuori.
Leandro, bellissimo giovane, era giunto dalla gemella Abido per la festa: e piú di ogni altro cuore il suo si accese alla vista della fanciulla: poiché piú di una saetta la bellezza encomiabile di una donna perfetta trafigge i mortali. Le si avvicinò, e quando lei lo vide si innamorò a sua volta. Piú tardi ancora Leandro le si accostò, la condusse con sé nella parte piú remota del tempio; le parlò, fu anche sfrontato. La supplicò di concedersi a lui, ed ella obiettava di essere vergine e consacrata ad Afrodite. Ma quando Leandro le disse che a una vergine non s’addice servire la dea dell’amore, e che ella non si cura delle donne che non conoscono gli sponsali, Ero fu persuasa. Obiettò tuttavia che i genitori non avrebbero mai acconsentito alle nozze, e che d’altronde lui non avrebbe potuto vivere a Sesto come un vagabondo per incontrarla in segreto; poiché la gente parla, e ciò che facciamo in segreto lo sentiamo poi raccontare per strada.
«Ma dimmi il tuo nome, e la tua patria» lei disse; «tu sai che mi chiamo Ero; abito nella torre alta come il cielo, sulla scogliera; cosí hanno voluto i miei genitori severi. Servo Afrodite, e non ho amiche, solo il mare».
Fu forse la risposta di Leandro che perdette Ero; fu forse Eros stesso che lo ispirò, poiché egli, se trafigge il cuore dei mortali, poi li medica e li consiglia.
«Per amor tuo traverserò il mare ogni notte», le disse. «Io vivo nella rocca di Abido, di là dall’Ellesponto. Solo, tu ogni notte accendi un lume che mi guidi a te. Il mio nome è Leandro, sposo di Ero dalle belle ghirlande».
Cosí fu; al termine della festa Leandro tornò ad Abido, e quando infine giunse la notte Ero espose una lanterna. Leandro attraversò a nuoto il mare molto risonante e temibile, e infine giunse alla spiaggia di Sesto. Ero lo accolse nella torre, lo abbracciò, lo deterse con balsami profumati; e fu quella notte che gli sposi si unirono.
Trascorse l’estate, e l’autunno, e ogni notte Leandro traversava l’Ellesponto per incontrare la sua sposa. Poi venne l’inverno, e una notte venti impetuosi con gelide raffiche spazzavano il mare. Le acque ribollivano, Noto lottava con Borea, Euro combatteva Zefiro. Proprio in quel momento Leandro nuotava, bramando la sua sposa. Quando i gorghi lo afferrarono egli supplicò Afrodite, nata dal mare; supplicò lo stesso Poseidone; e infine Borea, il vento del nord, che pure aveva amato una donna ateniese¹; ma nessuno lo soccorse. Infine il vento spense la lanterna di Ero, e con essa fu spenta la vita di Leandro.
Ero trascorse la notte in angoscia; e quando giunse l’aurora, e dall’alto vide sulla spiaggia il corpo di Leandro straziato dal mare, ella lacerò la sua tunica e si gettò a capofitto dall’altissima torre.
Cosí i due amanti furono insieme nella morte.
  1. Probabilmente la stessa Atena.
La fonte del presente testo è l’edizione critica curata da Thomas Gelzer, Harvard University Press, 1975.

15 ottobre 2011


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.


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