Avvenne un giorno che la dea Atena si costruí un flauto, e prese a sonarlo durante un banchetto degli dèi. Benché la
maggior parte degli olimpici fossero deliziati dalla musica di Atena, Era e Afrodite presero a ridere. Atena, seccata, se ne andò, e
continuò a sonare in riva a un ruscello: fu allora che si accorse, guardando nell’acqua, che quando gonfiava le guance per soffiare
nelle canne del flauto, il suo volto diventava orribile. Esasperata, gettò via il flauto e lo maledisse.
Accadde poi che lo strumento fosse raccolto dal satiro Marsia che, con grande stupore, si rese conto che il flauto sonava da solo se
accostato alle labbra, poiché la musica di Atena era rimasta al suo interno. Da allora Marsia divenne famoso per la bellezza della sua
musica, tanto che un giorno Apollo, infastidito, decise di sfidarlo a una gara, ponendo la condizione che il vincitore avrebbe potuto
infliggere allo sconfitto un castigo a suo piacere. La gara ebbe luogo: il dio sonò la sua lira, e Marsia il flauto. Le stesse muse,
chiamate a giudicare sulla bellezza della musica dei due contendenti, non seppero scegliere ed emisero un verdetto di parità.
Apollo allora sfidò Marsia a sonare e cantare allo stesso tempo, come faceva lui con la lira: questo ovviamente con un flauto non
è possibile e, inevitabilmente, il satiro perse la seconda gara. Con inaudita crudeltà, Apollo puní lo sventurato
avversario scorticandolo vivo.
30 ottobre 2011
Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.
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