Mitologia romana
Giove



Giove è, nel quadro della religione romana, una figura di primaria importanza. Egli è in primo luogo garante dell’ordine morale e dei trattati, nume della sovranità, associato nella triade arcaica a Marte (nume che presiede alle opere di guerra) e Quirino (nume della fecondità e della produttività). Il suo nome latino, Iuppĭter, è in origine un vocativo, derivante dalla contrazione della forma *Ioupăter¹, che continua i due sostantivi indoeuropei *dyeus e *pəter: il significato del nome è padre celeste. Egli è fondamentalmente il dio del cielo e della luce, sovrintende ai fenomeni celesti, da lui scaturisce il potere e l’autorità, e ciò lo pone fin dall’antichità piú remota ai vertici del pantheon romano. Dice la tradizione che già Romolo istituí il culto di Giove Feretrio e quello di Giove Statore (epiteto che significa probabilmente «che dà la forza di resistere»); ma Giove era già il dio supremo dei popoli italici ancor prima che Roma venisse fondata.
In una fase posteriore a quella piú arcaica, e probabilmente quando già Roma risentiva dell’influenza etrusca, Giove entrò a far parte, insieme a Giunone e Minerva, della triade capitolina, a cui negli ultimi anni della monarchia etrusca fu consacrato il Campidoglio. Fu questo un momento di svolta, nella religione romana, con la promozione al massimo rango di due divinità femminili. Giove mantenne il suo ruolo centrale, di dio supremo, e cominciò a ricevere nuovi epiteti, come quello di Optimus Maximus: «il migliore, il piú grande», che sottolinea la sua mai discussa preminenza.
Da presto fu connotato come signore della folgore, che è poi il mezzo con cui il dio comunica con i mortali, e della pioggia, che dispensa garantendo il benessere degli uomini. Vengono pure da lui il segni celesti, gli auspicia, che solitamente sono celati nel volo degli uccelli.
Il sacerdote consacrato al culto del dio era fra tutti il piú importante: il flamen dialis. Le feste in onore di Giove cadevano ogni mese, in corrispondenza delle idi².
  1. Il sostantivo indoeuropeo *dyeus/dyous denotante il cielo è anche alla base del nome greco del dio, Ζεύς. In latino si osserva una diversa gradazione apofonica. Il vocativo latino *Iou attesta il tema puro, e in unione con il vocativo păter si risolve appunto nella forma Iuppĭter. La declinazione del nome continua poi dal tema iou-.
  2. Le idi cadevano a metà mese, originariamente nel giorno di luna piena. Durante queste festività il flamen dialis guidava una processione che per la Via Sacra conduceva un agnello sacrificale fino al Campidoglio. È verosimile che, essendo le calende (inizio del mese) consacrate a Giano, le idi fossero dedicate a Giove in una sorta di rapporto di reciproco completamento simmetrico. Si può qui ravvisare un tipico schema della primitiva religione indoeuropea, che pone accanto un primo dio (Giano) e un dio supremo (Giove, appunto).

11 dicembre 2011


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.


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