Quando scoppiò
il diluvio universale, le acque abissali eruppero dalle viscere della terra, mentre dalle cateratte del cielo immense quantità di pioggia sommergevano il mondo. Il sole stesso era oscurato, e in mezzo alla pioggia torrenziale e alle onde che sballottavano l’arca non sarebbe neanche stato possibile aver misura dello scorrere del tempo, se non fosse stato per una perla collocata sulla sommità dell’arca: questa si illuminava al tramonto, e e la sua luminosità scemava con il sopraggiungere dell’aurora, sicché Noè non perse mai il conto del tempo, e fu in grado di onorare i sabati.
Dar da mangiare a tutti gli animali era un bel problema: Noè e i suoi figli, Sem, Cam e Jafet, non potevano nemmeno dormire, poiché ad ogni ora c’era qualche bestia da sfamare. Ogni animale poi aveva il suo cibo, chi paglia, chi erbe, chi tralci di vite. Gli uomini mangiavano pane di fichi.
Un problema era poi rappresentato dai camaleonti, a cui non si sapeva che dar da mangiare. Un giorno però Noè vide che un camaleonte mangiava un verme spuntato da una melagrana e, notando che dallo sterco dei cammelli spuntavano dei vermi, lo offrí ai camaleonti; e questi si cibarono dei vermi dello sterco. A proposito di escrementi, anche questi rappresentavano un inconveniente: Noè e i suoi figli erano costretti a sopportare la puzza degli animali, e non dovette essere piacevole. Inoltre alcuni animali si ammalavano e andavano curati, e anche questo era un bel problema.
Chi invece non creava problemi era la fenice, che se ne stava in un angolo senza domandare nulla. Quando Noè le domandò perché non chiedesse da mangiare, essa rispose che non voleva dare fastidi. Noè la benedisse; non che la fenice avesse particolari esigenze poiché, non avendo mai mangiato del frutto della conoscenza, essa è l’unico animale immortale.
Un’altra cosa da menzionare è che nell’arca erano vietati gli accoppiamenti, un po’ in segno di lutto per quel che avveniva al di fuori, un po’ perché c’era già abbastanza affollamento senza andare a generare altre creature. Ma qualcuno trasgredí il divieto: il cani, il corvo (che non solo si accoppiò con la sua compagna, ma anche con le femmine di altri uccelli, generando forse una progenie spuria), e Cam. Per quanto riguarda Cam il motivo è che la moglie era incinta di un angelo, Shemhazai, ed egli voleva nascondere questo fatto perché se ne vergognava. La cosa però non sfuggí a Dio, che fece diventare nera la pelle di Cam; e da allora sono neri tutti i suoi discendenti¹.
Quando infine le acque abissali defluirono e la pioggia ebbe fine, l’arca si arenò sulla cima del monte Ararat. Noè allora incaricò il corvo di ispezionare la situazione, ma questi si rifiutava, adducendo a pretesto il fatto che si trattava di una missione pericolosa e che, essendo i corvi solo una coppia, se gli fosse successo qualcosa la sua stirpe sarebbe andata perduta. In verità però il corvo aveva già fecondato la sua compagna. Ma insisteva sul fatto che Noè avrebbe dovuto inviare una colomba, poiché di quella stirpe, che è considerata pura, vi erano sull’arca un maschio e sei femmine. Noè però insisteva nell’ordinare al corvo di andare in ricognizione, e allora questi lo accusò di volerlo eliminare per prendersi la sua femmina. Noè non gradí l’insinuazione e lo maledisse. Il corvo comunque partí in missione e ritornò senza novità di rilievo: le acque ancora sommergevano il pianeta. Fu inviato una seconda volta e ancora tornò con la medesima risposta. Fu inviato una terza volta, quando le acque si
erano ormai ritirate e non ritornò, ma se ne andò in giro per il mondo a mangiare cadaveri. Poi fu la volta della colomba, che la prima volta non trovò dove posarsi, la seconda volta tornò con un ramoscello d’ulivo e la terza volta non tornò.
Quando infine le acque di
Tehom si ritirarono, e il sole seccò il fango che copriva la terra, e il vento spazzò via la polvere, Noè decise che era giunto il momento di lasciare l’arca.