Mitologia nordica
Fenrir
Il mostruoso Fenrir, detto il lupo del cosmo, è uno dei figli del malvagio Loki e della gigantessa Angrboða; è anche chiamato anche Fenrisúlfr, e Vánargandr, cioè demone di Ván, che è poi il nome del fiume di bava che sgorga dalle sue fauci.
Egli è fratello dell’oscura Hel, che governa la dimora dei morti senza gloria; e di Miðgarðrsormr, il serpente di Miðgarðr.
Gli dèi, temendo queste creature malvagie, provvidero a esialiare Hel nel profondo di Niflheimr, e Miðgarðrsormr sul fondo dell’oceano; non sapendo che fare del mostruoso Fenrir, decisero di metterlo in catene. Sfidarono quindi Fenrir a farsi incatenare per misurare la sua forza, ed egli acconsentí, certo che la sua possanza avrebbe avuto ragione dei vincoli; e cosí fu: non appena egli tese la sua possente muscolatura, la catena andò in frantumi.
Sconsolati, gli æsir sfidarono una seconda volta Fenrir a farsi incatenare, e utilizzarono una catena persino piú robusta. Pur cominciando a diffidare delle intenzioni degli dèi, il lupo ancora accettò di essere legato: e pur con gran sforzo, ancora riuscí a liberarsi.
Come spesso accade, per poter vincere il male gli dèi si risolsero a fare ricorso alla magia: ottennero l’aiuto di certi nani conoscitori delle arti magiche, che con i piú insoliti degli ingredienti¹ confezionarono una catena di nome Gleipnir: leggera come un nastro di seta, pareva non possedere alcuna resistenza, e tuttavia era la piú forte catena che mai sia stata forgiata.
Ancora gli æsir sfidarono Fenrir a farsi porre in catene: ed egli, ormai certo che dietro la richiesta si celasse un inganno, affermò che la Gleipnir gli pareva poca cosa, ma che comunque non avrebbe accettato di farsi incatenare a meno che non gli si assicurasse che non era magica. Gli dèi garantirono e spergiurarono che non vi era inganno che egli dovesse temere, ma ancora Fenrir non credeva loro: tuttavia, la paura che si diffondesse la diceria che egli era di scarso coraggio lo preoccupava.
Decise dunque di farsi legare, a patto di avere delle garanzie: e chiese che uno degli æsir ponesse una mano tra le sue fauci come pegno di sincerità. Tra tutti il solo Týr, dio della guerra, ebbe il coraggio di fare quanto veniva richiesto: e, disposto a sacrificarla purché l’ordine cosmico fosse garantito, pose una mano in mezzo alle fauci di Fenrir. Quando quest’ultimo tentò di liberarsi, si rese conto di essere stato inagnnato: infatti, per quanto si sforzasse di aver ragione di Gleipnir, questa non cedeva, anzi piú Fenrir tendeva i muscoli piú lei si stringeva.
Fu cosí che Týr perse la mano, ed è da allora che è detto il dio monco.
Fenrir da quel giorno è rimasto incatenato nell’isola di Lyngvi, e lí resterà fino al giorno dei Ragnarök, quando il fato degli dèi si compirà (perché appunto fato degli dèi, e non crepuscolo è il significato del termine).
Quel giorno ogni vincolo sarà infranto, e Fenrir spezzerà finalmente Gleipnir e sarà libero: il male che gli æsir hanno sempre temuto si realizzerà, poiché sarà proprio lui a uccidere Óðinn, padre degli dèi. Ma anche Fenrir perirà nella battaglia finale, ucciso dal dio della vendetta Víðarr: questi spezzerà le sue fauci e trafiggerà il suo cuore.
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Questi sono gli ingredienti con cui Gleipnir fu confezionata: suono di passi di gatto, barba di donna, radici di montagna, tendini d’orso, respiro di pesce e sputo d’uccello.