Il mito di Aio Loquente, in latino
Aius Loquens o anche
Aius Locutius, ci è riferito dallo storico Tito Livio. Narra la leggenda che una sera un umile plebeo, il cui nome era Marco Cedicio, udí d’improvviso una voce squillante, di certo sovrannaturale, che lo informò del fatto che i galli si stavano avvicinando all’Urbe con intenzioni bellicose: corresse dunque ad avvertire i magistrati, perché era necessario fortificare le mura. Cosí Cedicio fece, ma la sua testimonianza, certo a causa della sua umile condizione sociale, non venne tenuta in alcun conto; tanto piú che i galli erano un popolo lontano, e non si pensava proprio possibile vederseli comparire in casa cosí d’improvviso. Ma i galli arrivarono, e misero la città a ferro e fuoco: era l’anno 362 dalla fondazione dell’Urbe, un anno che sarebbe stato ricordato a lungo.
Dopo la cacciata dei galli, il senato romano pensò bene di riconsiderare il segno divino di cui Cedicio era stato testimone: cosí fu costruito un tempio, e al misterioso dio venne dedicato un altare. Fu allora che al nume fu dato il nome di
Aius Loquens, che procede da due differenti verbi latini,
āio e
loquor, che significano entrambi «parlare». Il gesto riparatore fu però tardivo: empiamente ignorato quando aveva ammonito i romani di correre ai ripari, Aio Loquente non parlò mai piú.
7 dicembre 2011
Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.
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