Mitologia greca
Ecate



La benevola Ecate è una delle piú affascinanti figure divine all’interno della mitologia ellenica. A quanto riferisce Esiodo, ella appartiene alla stirpe dei Titani: suo padre sarebbe Perse, sua madre Asteria, entrambi titanidi. È un’antica divinità lunare, regina della notte e, fra le altre cose, padrona del Tartaro, il regno dei morti. Le appartengono inoltre i crocicchi e i trivi, e si dice che si aggiri per le strade dell’Ellade, durante la notte, accompagnata da cani infernali, e che illumini il proprio cammino con una torcia. Quando giunge a un incrocio di strade, raccoglie le offerte che i fedeli hanno lasciato per lei. Ella è benevola ma terribile: il suo potere è illimitato: può infatti garantire ai mortali qualunque cosa desiderino, e ciò la rende pari, se non superiore, allo stesso Zeus. Come detto, è la regina della notte, e la luna nuova è il suo simbolo. A proposito della sua prerogativa di regina del Tartaro, si ricorda anche che, quando Core fu rapita da Ade, fu lei ad avvertire sua madre Demetra di quel che era successo. Pare poi che sia lei a sorvegliare che Ade rispetti il patto di restituire Core alla luce quando l’inverno ha termine. Anche l’oscuro signore dei morti deve infatti inchinarsi alla sua autorità. Il suo ruolo di garante del ritorno di Core rende Ecate, fra le altre cose, guardiana delle stagioni e quindi dell’ordine del cosmo. Solitamente la dea dimora proprio nel regno dei morti, e qui ha piacere di intrattenersi in conversazioni con la regina Persefone, che è poi il nome che Core assume durante i tre mesi che trascorre nell’oscurità. Ancora, si ricorda che a Ecate obbediscono le streghe, e che sue figlie sono le mostruose empuse, che da lei hanno preso l’abitudine di vestire calzari bronzei.
Il culto di questa dea è antichissimo, e gli elleni lo condividono con altre popolazioni: nel suo mito si scorge ancora l’antica concezione religiosa che assegnava la piú alta maestà a una divinità femminile.

2 dicembre 2011


Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, Ferruccio Sardu. La sua riproposizione, anche parziale, implica la citazione della fonte.


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