Le parche sono le divinità alle quali compete presiedere al fato degli esseri umani, e per questo motivo in Roma erano anche denominate, collettivamente,
Tria Fata, «i tre fati». I loro nomi, sono
Nona,
Decima e
Morta. Se nella denominazione di
parcæ si può ravvisare la radice *PAR del verbo
pario, «partorire», è piuttosto chiaro che il nome
Morta ci riconduce alla radice del verbo
morior, «morire». Si legano cosí indissolubilmente, nel nome di una delle tre dee, i due momenti estremi della vita dell’uomo. Il loro nome di
fata ci riconduce invece alla radice *FA- del verbo
for, «profetare»¹: le parche enunciano infatti il
fatum dell’essere umano fin dalla sua nascita, un destino dunque profetizzato e, conseguentemente, determinato. Quanto ai nomi di
Nona e
Decima si può ricordare che alle femmine il nome veniva imposto otto giorni dopo la nascita, e ai maschi dopo nove giorni.
Nona come dea del nono giorno e
Decima come dea del decimo potrebbero quindi portarci all’idea che la prima presiedesse al fato delle donne, la seconda a quello degli uomini².
È abbastanza diffusa l’idea che le parche siano state introdotte nella religione romana a somiglianza delle
moire della religione ellenica; se i romani hanno sempre conosciuto l’idea di
Fatum, va detto che si trattava di un concetto piuttosto sfumato, inaccessibile alla comprensione e quindi non svelabile e non mutabile; qualcosa di diverso da una divinità, dunque: un concetto trascendente. Si può anche ritenere che le parche abbiano successivamente influenzato la mitologia antico nordica, nella quale le
norne rivestono la medesima funzione. In alternativa, si potrebbe supporre una comune matrice indoeuropea alla base delle tre diverse triadi di divinità fatali.